Sfide e Soluzioni del Continuity Care in ambito di Deficit Cognitivo – Un’Intervista Esclusiva
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Il tema della continuity care per persone affette da deficit cognitivo è di grande importanza e merita un'approfondita discussione.

In che modo la continuity care può contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone affette da deficit cognitivo e dei loro familiari?

Quali sono le difficoltà e le sfide ancora irrisolte per poter garantire una continuity care efficace in un contesto di deficit cognitivo?

Si prevede che nuove tecnologie o approcci possano aiutare a superare tali difficoltà?

Scopriamolo insieme a Verena Biscaro, neuropsicologa e ricercatrice della Fondazione Need Institute. 

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Need Institute - Neurological Expertise and Dedication, che promuove la ricerca scientifica nel campo della cura e della riabilitazione delle malattie neurologiche con il fine di migliorare il benessere delle persone affette da queste patologie.  
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Verena Biscaro Neuropsicologa e ricercatrice

Iniziamo l'intervista con alcune domande riguardanti il concetto di continuity care e come può essere applicato alle persone con deficit cognitivo:

1. Che cosa si intende per deficit cognitivo?

Con deficit cognitivo si intende il progressivo deterioramento delle funzioni cognitive quali ad esempio la memoria o l’attenzione, che si verifica a seguito di una patologia di tipo neurodegenerativo, come una forma di demenza, oppure a seguito di un evento acuto come un ictus. Nel primo caso, il declino della funzione avviene gradualmente, con un andamento lineare o a gradini, mentre nel secondo caso la funzione viene compromessa dall’evento in forme più o meno gravi a seconda dell’estensione della lesione cerebrale.

2. Che cos'è la continuity care e quali sono i principali obiettivi della continuity care per le persone affette da deficit cognitivo? Come si differenzia dalla cura tradizionale?

Con continuity care si intende una forma di assistenza sanitaria coordinata e senza interruzioni, effettuata da diverse identità professionali tramite diversi canali, rivolta principalmente alle patologie di tipo cronico, che pertanto necessitano di una continuità assistenziale. Il declino cognitivo dovuto a eziologie di natura degenerativa rientra nelle patologie croniche, e pertanto per i soggetti che ne sono affetti sarebbe opportuno un servizio di continuity care che consenta non soltanto il monitoraggio dell’andamento delle compromissioni, ma anche l’intervento tempestivo qualora emergano sintomi indicativi di peggioramento. Tradizionalmente, soggetti affetti da forme di demenza effettuano visite cadenzate (solitamente ogni 8-12 mesi) dal medico neurologo per tenere monitorato l’andamento della malattia, e talvolta – anche se molto più raramente - effettuano cicli di stimolazione cognitiva per il mantenimento attivo delle funzioni cognitive. Le diadi paziente-caregiver sono perciò in un certo senso “abbandonate” e devono fronteggiare da sole o, se sono fortunate, con il medico di medicina generale, le frequenti fluttuazioni dei sintomi e le fasi di peggioramento della malattia. Questa discontinuità delle cure spesso comporta non soltanto il mancato monitoraggio della patologia e dei suoi sintomi (fattore fondamentale per poter intervenire tempestivamente e ridurre o rallentare il declino cognitivo) ma anche un senso di isolamento del soggetto e del suo caregiver, che si ritrovano spesso lasciati soli ad affrontare la malattia e le sue conseguenze a livello sociale, relazionale e pratico.

3. Quali professionisti e figure sono coinvolti nel fornire continuity care a queste persone? Come collaborano tra loro per garantire un'assistenza completa?

Come anticipato, il declino cognitivo, oltre ad avere eziologie diverse a seconda del tipo di degenerazione alla base (demenza di tipo Alzheimer, demenza vascolare, parkinsonismi, ecc.), ha un andamento progressivo, pertanto la sintomatologia presenta nel corso del tempo diversi stadi di gravità: solitamente, inizia con la compromissione di una o più funzioni cognitive (ad esempio la memoria o il linguaggio) con andamento ingravescente, cui possono affiancarsi disturbi di natura psichiatrico-comportamentale (disturbi dell’umore, depressione, ansia, aggressività, apatia, ma anche disordini del sonno e/o dell’alimentazione). Per questo motivo, la prima figura professionale coinvolta, che mantiene il quadro di insieme, è sicuramente il medico neurologo, che attraverso l’indagine strumentale (esami ed analisi specifiche come la risonanza magnetica) può individuare l’eziologia del disturbo, lo stadio, la possibile prognosi, e indirizzare così il soggetto e il suo caregiver verso altre forme professionali, oltre che introdurre, qualora lo ritenga necessario, una terapia farmacologica ad hoc.

Della compromissione cognitiva nello specifico si occuperà poi il neuropsicologo, che valuterà tramite test standardizzati le funzioni cognitive coinvolte nel declino, le abilità di vita quotidiana, e imposterà un piano di stimolazione finalizzato al mantenimento delle capacità residue.

Purtroppo, il progredire della patologia può condurre anche a deficit di tipo linguistico-articolatorio o motorio; in questo caso, si renderebbero necessari anche un logopedista e un fisioterapista.

Qualora la compromissione diventi per il soggetto inabilitante allo svolgimento autonomo delle attività di vita quotidiana di base (come lavarsi, medicarsi, vestirsi, nutrirsi, ecc), e siano presenti comorbidità rilevanti, frequenti nella popolazione anziana (diabete, cardiopatia, patologie polmonari o gastrointestinali), è spesso il geriatra che subentra al neurologo nella presa in carico. In questa fase, sarebbe opportuno l’intervento di personale sanitario specializzato, come gli infermieri e gli operatori socio-sanitari, in grado di gestire i bisogni sanitari di base e dei terapisti occupazionali per l’educazione del caregiver alla gestione dei disturbi del comportamento e la valutazione di eventuali trigger ambientali.

Al fine di fornire un’assistenza completa ed efficace, per ciascuna delle figure coinvolte è fondamentale essere innanzitutto aggiornati circa l’andamento della patologia e circa gli interventi effettuati dagli altri professionisti; è necessario perciò un lavoro di coordinamento e collaborazione costanti.

4. Quali sono i principali aspetti da considerare quando si sviluppa un piano di continuity care per un individuo con deficit cognitivo?

Innanzitutto, è necessario considerare quali siano i bisogni dell’individuo affetto da deficit cognitivo, tenendo sempre presente che possono mutare non solo in base allo stadio di sviluppo della patologia, ma anche a causa di modificazioni ambientali che possono occorrere attorno a lui (es. un figlio che si trasferisce lontano da lui, un impedimento motorio che non gli consente di uscire di casa per un certo periodo, la comorbilità con altre patologie, ecc.).

In secondo luogo, sebbene sia correlato con quanto appena detto, bisogna considerare la rete che lo circonda: l’individuo vive solo o con qualcuno, ovvero ha un caregiver, formale o informale, cui fare riferimento? Ha centri di aggregazione vicini? Ha accesso a sistemi sanitari d’emergenza nel caso ne abbia bisogno? Ha una rete sociale cui appoggiarsi?

Inoltre, va sempre monitorato il livello di compromissione che lo affligge: quanto è in grado di comprendere cosa gli sta accadendo, quanto è in grado di accettarlo e lasciarsi aiutare… il che può dipendere anche dalla presenza di sintomi comportamentali come l’opposizione o l’aggressività, che spesso inficiano l’operato soprattutto dei caregiver.

Infine, si rende necessario diffondere consapevolezza ai soggetti ma anche ai loro caregiver circa la natura della patologia, i sintomi da tenere monitorati, il potenziale andamento, le attività che possono limitare o rallentare il declino, le modalità di approccio e la gestione dei sintomi psichiatrico-comportamentali associati, gli aspetti legali-amministrativi da considerare e la rete di ambulatori, associazioni e centri presenti sul territorio che può fornire un sostegno.

5. In che modo la continuity care può contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone affette da deficit cognitivo e dei loro familiari o caregiver?

In questo contesto la continuity care può rappresentare una presa in carico continuativa e costante, complementare alle tradizionali forme di assistenza: laddove limitazioni logistiche, economiche e/o territoriali impediscano visite e consulti professionali settimanali, la continuity care sopperisce al bisogno di contatto che i soggetti affetti da declino cognitivo e i loro caregiver manifestano. Permettendo ai caregiver (o ai soggetti stessi) di segnalare l’emergere o l’aggravarsi della sintomatologia in tempo reale, consente l’intervento tempestivo del medico o del professionista di riferimento, così da ridurre il rischio di un’accelerazione o un peggioramento del declino o l’insorgenza di conseguenti complicanze: ad esempio in caso di wandering il paziente può scappare da casa e cadere, con esiti traumatici; oppure in caso di disfagia, difficoltà a deglutire, può insorgere una grave forma di polmonite.

Di particolare rilevanza, inoltre, come dimostrato anche dalla letteratura scientifica, è l’educazione dei caregiver in merito alla patologie e alle modalità di gestione dell’ambiente e dei sintomi specifici; la Continuity Care può contribuire in questo senso fornendo informazioni utili per il caregiver.

Passiamo ora a considerare l'aspetto della personalizzazione e dell'adattabilità dei piani di continuity care:

6. Ogni individuo con deficit cognitivo ha esigenze e sfide diverse. Come si garantisce la personalizzazione dei piani di continuity care per adattarli alle esigenze specifiche di ciascun individuo?

Il Piano Assistenziale Individuale (PAI) che individua i Bisogni Assistenziali, le modalità e tempistiche di intervento e gli indicatori di efficacia, viene concordato dalle figure sanitarie coinvolte alla presa in carico, e poi durante il percorso della diade. La prima fase fondamentale è la conoscenza sia clinica che umana della persona con la malattia e della sua famiglia, tramite scale cliniche validate e colloqui informali. Questa fase consente di individuare i bisogni specifici della diade e di stilare un programma di intervento personalizzato.

7. Spesso, le persone con deficit cognitivo hanno bisogno di assistenza a lungo termine. Come si affronta la continuità della cura nel corso del tempo e in quali modi vengono apportate eventuali modifiche ai piani di assistenza?

Come in tutte le malattie croniche degenerative è fondamentale che il personale sanitario sia esperto nella patologia e nei possibili decorsi e complicanze che si possono verificare. Questa competenza consente di prevedere il “patient journey” nelle sue tappe fondamentali, con la flessibilità richiesta dalla personalizzazione. Questa programmazione consente di avere a disposizione, quando e se necessario, le strutture idonee e le figure professionali utili nella fase che il paziente si trova ad affrontare (riabilitazione cognitiva, logopedia, Centro Diurno Integrato, RSA aperta, Assistenti Sociali, ecc.).

Ora esploriamo l'importanza del coinvolgimento dei familiari e dei caregiver nel processo di continuity care:

8. Qual è il ruolo dei familiari e dei caregiver nel fornire continuity care per le persone con deficit cognitivo? Come vengono coinvolti nel processo decisionale?

Con la parola “caregiver” si intende qualsiasi persona che “si prende cura” di un soggetto malato quotidianamente; è la figura di riferimento che ha lo sguardo più completo sull’individuo e che può riferirne il quadro più aggiornato alle figure sanitarie. Non stupisce perciò che spesso il caregiver di riferimento sia un familiare (coniuge o figlio), definito convenzionalmente come caregiver informale, che si differenzia dal caregiver formale identifica il collaboratore famigliare (badante). Nell’ambito del declino cognitivo, la figura del caregiver ha un ruolo centrale e imprescindibile: ha una visione “storica” dell’evoluzione della patologia, dei suoi effetti nel quotidiano e sul tono dell’umore del soggetto, oltre che avere una visione oggettiva del livello di compromissione e dei sintomi comportamentali. È poi la persona che quotidianamente fornisce assistenza, aiuto e supporto all’individuo malato, e se ne prende carico per la gran parte della giornata; pertanto, sa esattamente di cosa il suo assistito abbia bisogno, cosa potrebbe funzionare per migliorare la sua qualità di vita e cosa no. Il caregiver è perciò la figura di riferimento per tutti i professionisti sanitari coinvolti, soprattutto quando lo stadio della patologia è avanzato e l’individuo non è più in grado di riferire informazioni attendibili su se stesso e su ciò che gli accade.

Allo stesso tempo, però, il caregiver informale è anche la persona che subisce il maggior stress, burden, e carico di assistenza, con le ovvie conseguenze sulla propria salute e stile di vita. Se il caregiver si ammala, ha un burn-out, anche la malattia del paziente ne risente. Caregiver e paziente costituiscono una diade inscindibile, al punto che anche il caregiver deve essere assistito (educato, sostenuto, aiutato) dal personale sanitario come il paziente stesso.

9. Quali risorse o supporti vengono messi a disposizione dei familiari e dei caregiver per aiutarli a fronteggiare le sfide connesse alla cura di una persona con deficit cognitivo?

Vi sono ambulatori e centri clinici specializzati che si occupano della valutazione cognitiva e neurologica degli utenti con deficit cognitivo, sebbene la loro distribuzione territoriale non sia sempre uniforme. Vi sono poi numerose associazioni che si occupano di sostenere i pazienti e i loro caregiver, fornendo indicazioni di tipo informativo ma anche supporto e sostegno; tuttavia, troppo spesso hanno risorse limitate o mancano di un coordinamento con le altre associazioni presenti sul territorio. Infine, vi sono poi centri di aggregazione che incentivano la socializzazione dei soggetti e contribuiscono allo sviluppo di una rete sociale.

Infine, prendiamo in considerazione il futuro della continuity care per persone affette da deficit cognitivo:

10. Quali sono le difficoltà e le sfide ancora irrisolte per poter garantire una continuity care efficace in un contesto di deficit cognitivo e cosa può essere fatto per superarle?

La sfida principale per la continuity care è l’accessibilità: per poter essere efficace, la continuity care deve essere sostenibile, innanzitutto da un punto di vista economico e di risorse umane, sanitarie, specializzate e disponibili. Se la maggior parte della popolazione non può permettersi visite specialistiche o interventi sanitari settimanali, è necessario che i servizi di continuity care tengano conto di queste limitazioni economiche, e risultino non solo convenienti alla comparazione, ma anche economicamente abbordabili. Inoltre, vi è anche un principio di accessibilità pratico-logistica: è verosimile immaginare che un sistema efficiente di continuity care utilizzi canali tecnologici, quali ad esempio smartphone, tablet, pc; la popolazione che dovrebbe usufruirne è un target non avvezzo all’utilizzo di determinati device, o quanto meno spesso non possiede la familiarità adeguata a un uso fluido. Pertanto, è ragionevole prevedere una parte di formazione perché soggetti e caregiver possano sfruttare tutte le potenzialità a disposizione..

11. Si prevede che nuove tecnologie o approcci possano migliorare l'assistenza fornita a persone con deficit cognitivo? Se sì, quali?

Le nuove tecnologie possono assolutamente contribuire alla continuity care, anzi, potrebbero divenire il perno attorno al quale si costruisce un nuovo concetto di presa in carico continuativa. Nello specifico, oltre a sistemi di monitoraggio di parametri vitali e ambientali (come smartwatch per il controllo dei battiti cardiaci o i livelli pressori, oppure sensori ambientali in grado di rilevare cadute accidentali in casa), vi sono grandi potenzialità anche in sistemi di più semplice utilizzo. Ad esempio, la nascita di app per il controllo delle terapie farmacologiche da remoto permette ai medici di seguire l’aderenza alla terapia dei propri assistiti; la costruzione di piattaforme digitali in grado di costituire una sorta di “cartella clinica” del paziente permette poi a più professionisti – magari anche distanti tra loro- di avere sempre aggiornato il quadro generale del paziente, fornendo una visione a 360 gradi. La possibilità di effettuare videochiamate con specialisti sanitari, inoltre, consente non soltanto rapidi consulti che bypassano eventuali limitazioni pratiche e logistiche (es. il trasporto all’ambulatorio o alla visita, rilevante soprattutto in contesti rurali) ma anche di effettuare percorsi riabilitativi (ad esempio neuropsicologici, come sedute di stimolazione o riabilitazione cognitiva) da remoto, contribuendo a una maggiore accessibilità del servizio offerto. La possibilità di monitorare e intervenire, da remoto sulle riacutizzazioni della malattia e sulle sue complicanze presenta, a medio e lungo termine, un vantaggio non solo per la salute ma anche economico, dal momento che questo intervento è in grado di prevenire e gestire eventi che porterebbero il paziente ad accessi urgenti, e costosi, a strutture sanitarie, in particolare al Pronto Soccorso.

La tecnologia e il digitale possono svolgere un ruolo significativo nel contribuire alla continuity care per persone affette da deficit cognitivo. Need Institute è partner in molti progetti in cui si sperimentano tecnologie a supporto dei pazienti e dei caregiver. Oggi state collaborando con LifeCharger e con Monitor + avete lavorato per definire un protocollo mirato. Quali sono le aspettative in questa collaborazione?

Ci aspettiamo innanzitutto che sia fruibile per i caregiver e che possa risultare utile come supporto alla gestione del loro assistito; l’obiettivo è fornire uno “sportello virtuale” in cui il caregiver, qualora ne avesse bisogno, possa segnalare cambiamenti nello stato psicofisico del proprio caro. I professionisti sanitari coinvolti ricevono informazioni aggiornate e possono chiedere la compilazione di scale e questionari al bisogno, se ne avessero necessità; il caregiver può richiedere un consulto, concordando data e ora, con uno di loro, a seconda del bisogno. Attraverso lo stesso strumento, inoltre, il caregiver riceve contenuti informativi personalizzati circa la patologia che sta affrontando, i possibili sviluppi, consigli per la gestione quotidiana, indicazioni pratiche sull’ambito legale-assistenziale e sulle possibilità offerte dal territorio. La presa in carico risulta così multidisciplinare e personalizzata sui bisogni specifici del paziente e del suo caregiver, fornendo un sistema di cura e assistenza continuativo.

Grazie per il tuo tempo e la tua disponibilità a discutere di questo importante argomento.